News / “Decreto Ristori”: cambia la norma, rimane il blocco
Il Decreto Legge n. 137/2020 (cd. Decreto “Ristori”) ha prorogato alcune disposizioni emergenziali in materia di lavoro, già previste dal cd. Decreto “Agosto” (convertito in Legge n. 126/2020).
In particolare, il Decreto Ristori ha confermato l’ormai noto divieto di licenziamento fino al 31 gennaio 2021, per tutti i datori di lavoro, a prescindere dall’utilizzo della cassa integrazione o dell’esonero contributivo. La nuova norma, pertanto, supera il precedente meccanismo del cd. “divieto mobile” o “a geometria variabile”, introdotto dal Decreto Agosto, il quale, legando il blocco dei licenziamenti alla disponibilità dell’ammortizzatore o degli sgravi, aveva comportato molteplici dubbi interpretativi ed applicativi. In base alla nuova norma, fino al 31 gennaio 2021, continuerà ad essere vietato:
- iniziare procedure di licenziamento collettivo (salvo in caso di immediata riassunzione per cambio appalto);
- recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo “ai sensi dell’art. 3 L. 604/1966” (sono anche sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso ex 7 della medesima Legge).
In conformità a quanto già previsto dal Decreto Agosto, i licenziamenti collettivi e/o individuali per giustificato motivo oggettivo continueranno ad essere consentiti solamente nei seguenti casi:
- licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività d’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività (in assenza di cessione di un complesso di beni o attività che possa essere qualificato come trasferimento d’azienda o ramo di essa);
- i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa ovvero ne sia disposta la cessazione;
- i licenziamenti intimati nei confronti di lavoratori che abbiano aderito ad accordi collettivi aziendali di incentivazione alla risoluzione dei rapporti di lavoro, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. È previsto l’accesso alla NASpI anche qualora tali accordi prevedano la risoluzione consensuale del rapporto.
Viceversa, per quanto concerne i licenziamenti individuali per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, è noto che questi ultimi restino estranei all’ambito di applicazione del divieto.
Alla luce di quanto sopra, con il Decreto Ristori, per consentire le uscite dall’azienda dei lavoratori, residuano solo due ipotesi: o quella volontaria o quella “illegittima”.
Infatti, per tutta la durata del blocco dei licenziamenti, sarà praticabile solo l’ipotesi di stipulare accordi collettivi aziendali che prevedano l’adesione volontaria dei dipendenti a una risoluzione incentivata dei rapporti di lavoro. La nota distintiva di tali accordi, stipulabili solo con i sindacati comparativamente più rappresentativi a livello nazionale, consiste nel diritto del lavoratore in esubero a ottenere, a fronte della risoluzione consensuale del rapporto, il trattamento di disoccupazione Naspi in deroga alla normativa vigente.
L’altra “alternativa” per le aziende è quella del recesso contra legem, ossia in “violazione” del divieto, in quanto consiste nell’elusione del divieto di licenziamento per motivi economici e nella ricerca, successiva (o meglio preventiva) all’intimazione del recesso, di un accordo individuale con il dipendente che preveda il pagamento di un importo a titolo transattivo e di incentivazione all’esodo a fronte della rinuncia, da parte di quest’ultimo, all’impugnazione del licenziamento. Tuttavia, a differenza dell’accordo collettivo appena illustrato, tale soluzione potrebbe esporre a una rilevante alea in caso di ripensamento del singolo lavoratore interessato.
Giova precisare che, anche in tali ipotesi, come riconosciuto dal Ministero del Lavoro (con nota 5481/2020) e dall’Inps (messaggio 2261/2020), il lavoratore ha diritto di accesso alla Naspi, salva la facoltà dell’Inps di recuperare quanto erogato qualora il lavoratore, a seguito di contenzioso giudiziale o stragiudiziale, dovesse essere reintegrato nel posto di lavoro.
In entrambe le ipotesi sopra esaminate, posto che l’accordo con il lavoratore disciplinerà inevitabilmente anche le rinunce di quest’ultimo a diritti e relative domande connessi al rapporto di lavoro, è necessario il passaggio in una delle sedi privilegiate previste dagli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile, ossia avanti l’ispettorato del lavoro, le commissioni di certificazione costituite presso le università o le commissioni di conciliazione in sede sindacale.