Decreto Dignità 6 – Agevolazioni ridotte per chi riduce l’occupazione

Il Decreto di mezza estate ha previsto anche una riduzione degli cd. aiuti di Stato alle aziende che riducono l’occupazione dopo aver usufruito di agevolazioni fiscali sulla base della “valutazione dell’impatto occupazionale”. Nella nuova norma si stabilisce infatti la revoca dei benefici concessi alle imprese che riducono i livelli occupazionali degli “addetti all’unità produttiva o all’attività interessata dall’aiuto2 nei 5 anni successivi alla data di completamento dell’investimento.

La decadenza dal beneficio si ha in presenza di una riduzione dei livelli occupazionali superiore al 10% ed è proporzionale alla riduzione del livello di occupazione. Ed è “comunque totale in caso di riduzione superiore al 50 per cento”.

Il provvedimento riguarda tutte le imprese, italiane o estere, che operano nel territorio nazionale.

Con la delimitazione temporale dell’applicazione della nuova norma: la misura si applicherà ai benefici concessi o banditi e a tutti quegli investimenti agevolati avviati successivamente alla data di entrata in vigore del presente Decreto (14 luglio).

Decreto Dignità 5 – Licenziare costerà di più

Il cd. Decreto Dignità è intervenuto anche sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti (per intenderci, stipulato successivamente al 7 marzo 2015), prevedendo un aumento della misura minima e massima degli indennizzi monetari previsti come conseguenza del licenziamento illegittimo.

In particolare, la nuova normativa ha introdotto un aumento pari al 50% della misura dei predetti indennizzi, portandola dal range compreso tra le 4 e le 24 mensilità, vigente fino all’introduzione del Decreto, al range compreso tra le 6 e le 36 mensilità. Con tali modifiche, si perviene anche ad un altro risultato, ossia che, a fronte dell’intento semplificatorio manifestato dal Legislatore, i regimi di tutela per i licenziamenti illegittimi siano divenuti ben tredici, a seconda della dimensione aziendale e della data di assunzione del dipendente.

In buona sostanza, la legislazione d’urgenza ha introdotto una disciplina rafforzativa, almeno nelle intenzioni, dei diritti dei lavoratori, limitando la possibilità per le aziende di ricorrere alla contrattazione più flessibile (qual’era quella del contratto a termine) e aumentando, nell’ambito dei contratti di lavoro a tutele crescenti, gli indennizzi previsti per i licenziamenti illegittimi.

Occorrerà attendere per verificare se interventi di tale fatta produrranno effetti positivi sul mercato del lavoro o se incideranno negativamente sull’occupazione, disincentivando le assunzioni, come tuttavia oggi si teme molto.

Decreto Dignità 4 – Stretta anche sulla somministrazione a tempo determinato

La nuova normativa della somministrazione del lavoro a termine viene sempre più assimilata a quella del contratto di lavoro subordinato a termine. Anche alle Società di somministrazione si applicherà infatti la nuova disciplina sulla durata massima del contratto a termine “acausale” di soli 12 mesi.

Cambia anche la durata massima che, dai 36 mesi, si riduce agli attuali 24 e per ogni rinnovo diventa necessaria l’indicazione della causale, oltre al fatto dell’incremento del costo della contribuzione pari allo 0,5% per ogni rinnovo.

Non solo. Diventa ancor più stringente il rispetto dello “stop and go”, id est la pausa tra le due somministrazioni a termine e le proroghe diventano 4, anziché 5. Le uniche esclusioni sono costituite dal tetto di utilizzo pari al 20% dei contratti a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato e dall’obbligo di precedenza nelle assunzioni.

In altri termini, sarà più complesso rinnovare i contratti di somministrazione oltre i 12 mesi sia in ragione dell’incremento dei costi, sia in ragione del fatto che le causali dovranno far riferimento ad esigenze transeunti e di natura straordinaria, non prevedibili. Questo, ovviamente, renderà più arduo giustificare il ricorso alla somministrazione. A ciò si aggiunga che la pausa tra i contratti potrebbe penalizzare lo stesso lavoratore.

Decreto Dignità 3 – Regime transitorio: maggiori difficoltà per proroghe e rinnovi

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del nuovo Decreto Legge lo scorso 14 luglio, la nuova disciplina in materia di contratti di lavoro a tempo  determinato riguarderà di certo i contratti stipulati successivamente alla predetta entrata in vigore ma, attenzione, anche i rinnovi e le proroghe dei contratti in corso alla medesima data.

La nuova disciplina non si applicherà ai contratti in essere con la pubblica amministrazione, per la quale resterà in vigore la vecchia normativa.

Sui due milioni di contratti a termine in questo momento attivi, si calcola che ottantamila superano già la durata di 24 mesi. La Ragioneria Generale dello Stato evidenzia che almeno il 10% di questi  lavoratori non troverà altro impiego trascorsi i predetti 24 mesi. Morale della favola: circa 8 mila persone potrebbero restare senza lavoro.

In sintesi, sono a rischio i contratti a termine attualmente in essere in quanto alla scadenza sarà complicato puntare su un loro rinnovo. Infatti, in caso di rinnovo, il datore dovrà fornire una “causale” (anche se alla stipula non lo aveva fatto) e si esporrà di fatto al concreto rischio di affrontare un contenzioso, nonché versare un addendum contributivo pari allo 0,50% in più per ciascun rinnovo del contratto.

La tendenza potrebbe diventare quella di stipulare contratti a termine ex novo (con altri lavoratori), ancora privi di causale, di durata di 12 mesi, invece di procedere con i rinnovi di quelli in essere, ovvero di utilizzare altre tipologie contrattuali ma che riducono di fatto le tutele fornite ai lavoratori

Decreto Dignità 2 – Stretta sui contratti a termine: durata massima ridotta e rinnovi più onerosi

Il recente Decreto Legge n. 87 del 12 luglio 2018, cd. Decreto Dignità, ha introdotto una serie di rilevanti novità nel panorama del mondo del lavoro, tra le quali la riduzione del termine di durata massimo applicabile al contratto di lavoro a tempo determinato, portandolo da 36 mesi a 24 mesi e, contemporaneamente, riducendo le proroghe consentite da cinque a quattro.

Per ogni rinnovo del contratto a termine è inoltre previsto un aumento della contribuzione, in occasione di ciascun rinnovo, pari allo 0,5% rispetto all’1,4% già introdotto dalla legge Fornero.
Detto aumento della contribuzione è esteso anche ai contratti di somministrazione.
In questa fase non risulta facile prevedere quale impatto avrà una simile riforma sull’occupazione.
È tuttavia ipotizzabile che l’inasprimento dei costi e la riduzione della utilizzabilità della tipologia contrattuale riduca il ricorso allo strumento del contratto a termine.

Decreto Dignità 1 – Contratti a tempo determinato: tornano le causali

Dal 14 luglio è entrato in vigore il nuovo Decreto Legge che si occupa anche di contratti e termine, apportando l’ennesima modifica ad una materia in costante evoluzione.

Il contratto a tempo determinato sarà così attivabile senza giustificazione solo per i primi 12 mesi. Successivamente al 12° mese sarà necessario fare ricorso di nuovo alle cd. causali, ossia alle ragioni che giustificano il ricorso da parte del datore di lavoro ad un rapporto a termine.

In tali casi, si potrà adottare un contratto a termine essenzialmente per due motivazioni prefissate dalle legge: ossia per “esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria” ovvero per “esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori”.

L’utilizzo della cd. causale, introdotta nel 1962, era stata progressivamente ridotta ed infine eliminata con il Decreto Poletti nel 2014. Indubbiamente, le causali sono state da sempre foriere di incertezza applicativa e lasciano ampi margini di interpretazione diversa ed opinabile tra gli operatori del diritto.

Il rischio, riconosciuto da tutti, è quello di penalizzare sia le imprese (per il potenziale incremento del contenzioso lavoristico) che i lavoratori oggi in servizio (per la maggiore difficoltà ad ottenere una stabilizzazione del rapporto di lavoro in essere o un nuovo rapporto di lavoro a tempo).