Non è necessario dedicarsi a fare il “bilancio” dell’operazione legislativa messa in cantiere con l’adozione del cd. Codice del Consumo (1), entrato in vigore il 23 ottobre 2005, tuttavia in questa sede può essere utile rammentarne la genesi ed offrire una lettura “comparata” con la precedente legislazione, di cui esso costituisce un logico e fedele sviluppo.
Il Codice supera, infatti, la fase della frammentazione legislativa e della dispersione dei riferimenti, che aveva sinora caratterizzato il cd. diritto dei consumatori.
In tal modo, il legislatore ha inteso fornire una disciplina unitaria alla materia fino allora disorganica e non coordinata del diritto dei consumatori, con l’altisonante introduzione di un “codice” del “consumo”, avvenuta, in realtà, con la semplice trasposizione delle norme previgenti, salvo le sporadiche modifiche ed aggiunte, di cui vogliamo dar conto.
E’ utile a tal fine, anche a costo di cadere in un certo schematismo, configurare una sorta di mappa del provvedimento (2), al fine di chiarirne meglio la trama.
Il Codice del Consumo (formato da 146 articoli) consta di sei parti, a loro volta divise in titoli:
- parte prima – nel primo titolo vengono indicate le finalità del Codice, stabiliti i diritti fondamentali dei Consumatori, offerte le definizioni degli istituti richiamati nel Codice;
- parte seconda – nel primo titolo viene introdotto il concetto di educazione del consumatore. Nel secondo vengono offerte definizioni rilevanti al fine di un’adeguata informazione. Nel titolo terzo vengono stabilite le regole generali in materia di pubblicità, vengono indicate le ipotesi di pubblicità ingannevole e le conseguenti forme di tutela amministrativa e giurisdizionale. Sempre nel titolo terzo vengono individuate forme di autotutela e viene regolata la fattispecie della televendita;
- parte terza – nel titolo primo sono disciplinate le ipotesi di vessatorietà delle clausole contrattuali e viene attribuita in capo alle associazioni dei consumatori la legittimazione processuale a proporre azione inibitoria avverso le condizioni contrattuali ritenute abusive. Il titolo secondo regola l’attività commerciale ed il credito al consumo. Il titolo terzo disciplina i contratti negoziati nei locali commerciali e i contratti negoziati fuori dai locali commerciali, nonché i contratti a distanza. Quindi, prefissa le sanzioni per il professionista che contravviene alle indicazioni stabilite nel codice circa i contratti conclusi fuori dei locali commerciali o a distanza. Stabilisce per queste due categorie contrattuali regole comuni in materia di recesso. Infine, rinvia ad altre disposizioni per la disciplina del commercio elettronico. Il titolo quarto disciplina la multiproprietà, la proprietà ternaria ed i contratti aventi ad oggetto servizi turistici. Nel titolo quinto viene disposto l’obbligo dello Stato di garantire gli utenti nella fruizione dei servizi pubblici;
- parte quarta – il titolo primo stabilisce le condizioni di sicurezza dei prodotti immessi sul mercato. Nel titolo secondo viene disciplinata la responsabilità extracontrattuale del produttore e del fornitore. Nel titolo terzo si regolamentano i contratti di vendita e le garanzie riguardanti i beni di consumo;
- parte quinta – il titolo primo disciplina il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti e l’elenco delle associazioni dei consumatori rappresentative a livello nazionale. Il titolo secondo definisce l’ambito della legittimazione ad agire in giudizio delle associazioni iscritte nel suddetto elenco e prevede le ipotesi di composizione extragiudiziale delle controversie;
- parte sesta – va dall’art. 142 all’art. 146 e reca una serie di disposizioni peculiari.
Il Codice si apre con le “Disposizioni Generali”, in cui sono confluite molte delle norme della Legge-quadro dei diritti dei consumatori, la Legge n. 281/98 (3), confermando in pieno il quadro dei diritti dei consumatori ivi enucleato (art. 2), così come le definizioni di consumatore o utente, professionista, associazione dei consumatori, ora contenute nell’art. 3.
Sulla nozione di consumatore, in particolare, va evidenziato che il legislatore ne ha limitato l’ambito alla sola “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” (salvo quanto si vedrà in relazione alla disciplina della pubblicità).
Pertanto, all’esito di un serrato dibattito sviluppatosi tra gli specialisti della materia, le associazioni di categoria ed il movimento dei consumatori, occorre prendere atto del mancato ampliamento della categoria di consumatore, non includente alcuna persona giuridica, come auspicato da vari settori di categoria.
Il Decreto ribadisce alcuni fondamentali diritti dei consumatori già riconosciuti con la legge-quadro del 1998, ora abrogata:
a) alla tutela della salute;
b) alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi;
c) ad una adeguata informazione, al diritto di recesso e ad una corretta pubblicità;
d) all’educazione al consumo;
e) alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità’ nei rapporti contrattuali;
f) alla promozione e allo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti;
g) all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza.
Nella seconda parte il Codice disciplina l’educazione, l’informazione e la pubblicità, ed accoglie norme tratte da varie normative (4).
Rispetto alla formulazione della disciplina previgente è stata aggiunta una norma (art. 4) relativa all’educazione del consumatore di cui vengono individuate le finalità nel favorire la consapevolezza dei diritti, lo sviluppo dell’associazionismo, la partecipazione ai procedimenti amministrativi e la rappresentanza.
Il Titolo II, dedicato all’informazione ai consumatori (5), contempla poche modifiche rispetto alla normativa precedente: in particolare si è precisato che, ai fini delle norme sull’informazione, deve intendersi per consumatore “la persona fisica alla quale sono dirette le informazioni commerciali” (art. 5) senza riferimento alla natura professionale o meno del destinatario; viene aggiunto al contenuto minimo delle informazioni l’indicazione del Paese di origine dei prodotti se situato fuori dall’UE (art. 6) ed è introdotto l’obbligo per i distributori di carburanti di esporre in modo visibile dalla strada i prezzi praticati al consumo (art. 15).
Il Titolo III, relativo alla pubblicità (6), ha introdotto una ulteriore nozione di consumatore: ai fini delle norme sulla pubblicità e sulle altre comunicazioni commerciali, infatti, “si intende per consumatore o utente anche la persona fisica o giuridica cui sono dirette le comunicazioni commerciali o che ne subisce le conseguenze” (art. 18).
Orbene, nonostante l’adozione del Codice avesse, tra le altre, la finalità di rendere unitaria la normativa, la nozione di consumatore continua ad essere poliedrica e sfaccettata.
Sempre nell’ambito del Titolo III, troviamo, dopo la normativa (rimasta invariata) sulla pubblicità ingannevole e comparativa, nonché la rinnovata disciplina (articoli 28 – 32) a tutela del consumatore in materia di televendite (7), in cui viene stabilito, tra l’altro, che tali norme si applicano alle televendite “comprese quelle di astrologia, di cartomanzia ed assimilabili”.
La terza parte del Codice disciplina il rapporto di consumo e si apre con la disciplina dei contratti del consumatore in generale (artt. 33-37) (8).
In tale ambito, è rimasta invariata l’elencazione delle clausole vessatorie mentre la sanzione a carico delle clausole di cui sia accertata la vessatorietà, che nella precedente formulazione venivano dichiarate inefficaci, nel Codice sono invece dichiarate nulle: viene quindi introdotta una sanzione più incisiva rafforzando la tutela del consumatore.
Il Titolo II prevede una novità: la norma generale contenuta nell’art. 39, sull’obbligo di valutare i principi di buona fede, correttezza e lealtà nelle attività commerciali “anche alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie di consumatori” seguita dalla disciplina del credito al consumo, artt. 40 – 43 (9).
Il Titolo III della terza parte, relativo alle “modalità contrattuali”, raccoglie agli artt. 45 – 61 le norme relative ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali e quelle relative ai contratti a distanza (10).
Tali normative (nella versione previgente) avevano ad oggetto la disciplina del cd. diritto di ripensamento del consumatore, ovverosia il suo diritto a recedere dai contratti medesimi, entro termini e con modalità stabilite dalla legge.
La trasposizione di tali norme è stata l’occasione per unificare la disciplina del diritto di recesso, ora collocata nell’autonoma sezione IV (artt. 64-68), adottando un unico termine per l’esercizio del diritto di recesso che è ora, in ogni caso, di 10 giorni lavorativi, generalizzando così la previsione più vantaggiosa per il consumatore, precedentemente limitata ai casi di recesso nei contratti a distanza (contro i sette giorni previsti nei contratti conclusi fuori dei locali commerciali).
La seconda modifica importante concerne la disciplina delle spese accessorie che il consumatore che eserciti il diritto di recesso è tenuto a rimborsare al professionista: mentre nella precedente disciplina era stabilito che il consumatore dovesse risarcire le spese accessorie indicate preventivamente nel contratto, l’art. 67, comma 3 del Codice stabilisce che “le sole spese dovute dal consumatore per l’esercizio del diritto di recesso sono le spese dirette di restituzione del bene al mittente, ove espressamente previsto dal contratto”.
La disposizione, quanto mai utile, elimina gli spazi nei quali i soggetti commerciali scorretti inserivano clausole tendenti a garantire rimborsi di asserite spese accessorie assolutamente esorbitanti, coartando quindi il consumatore che avesse esercitato il diritto di recesso a pagare, sotto forma di rimborso spese, vere e proprie penali.
L’ulteriore profilo di novità concerne, come sopra anticipato, la materia del credito al consumo: l’art. 67, comma 6, infatti, generalizza la regola (includendo anche i contratti negoziati fuori dei locali commerciali), precedentemente limitata ai soli contratti a distanza, secondo cui l’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore determina la risoluzione di diritto dell’eventuale contratto di finanziamento collegato al contratto di fornitura.
Nel Codice sono state inserite anche le norme concernenti i contratti aventi ad oggetto l’acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili, (artt.69-81, già D. Lgs. n. 427/1998), e quelle sui servizi turistici (artt. 82-100 già D. Lgs. 111/1995), per le quali viene ora richiamata la nuova ed unificata disciplina del diritto di recesso, senza divergenze di rilievo rispetto ai precedenti testi.
Nella quarta parte del Codice, relativa alla sicurezza ed alla qualità, sono confluite, restando sostanzialmente invariate, anche le norme sulla sicurezza dei prodotti (artt.102-113, già D.Lgs. n.172/2004), sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi (artt. 114-127, già DPR 224/1988 e D.Lgs n.25/2001), nonché quelle sulla garanzia legale di conformità e le garanzie commerciali per i beni di consumo (artt. 128-135, già inserite agli artt.1519 bis – nonies del codice civile dal D.Lgs. n. 24/2002).
Tra le novità mancate si segnala, a proposito di tale ultima normativa, che la stessa è rimasta invariata e che, in particolare, non è stata modificata la previsione dell’art. 1519 quinquies, ora art. 131, che sancisce la natura disponibile del diritto di regresso del venditore finale, che abbia ottemperato i rimedi esperiti dal consumatore, nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili del difetto di conformità facenti parte della medesima catena contrattuale distributiva ovvero di qualsiasi intermediario.
Il venditore può rinunciare o escludere sin dall’inizio del rapporto il proprio diritto di regresso nei confronti dei venditori precedenti della medesima catena distributiva per la responsabilità nei confronti del consumatore.
E’ noto che tale previsione determina una posizione di debolezza dei piccoli rivenditori nei confronti delle grandi aziende che tendono ad imporre contrattualmente, in virtù della maggior forza negoziale, la preventiva rinuncia al diritto di regresso del venditore, scaricando così sui piccoli commercianti gli oneri relativi alla responsabilità verso i consumatori.
Proprio in ragione di tale fenomeno era stata ipotizzata una modifica della disciplina volta a tutelare i venditori finali.
La parte quinta del Codice, che disciplina le Associazioni dei Consumatori e l’accesso alla Giustizia, non modifica le norme previgenti ma aggiunge, all’articolo 141, una nuova regola per la composizione extragiudiziale delle controversie, intesa a favorire il ricorso alle procedure conciliative, specie quelle amministrate dalle Camere di Commercio (11).
Appare dunque particolarmente felice l’incipit di Enzo Maria Tripodi, il quale ha afferma, non senza una certa enfasi, che “con il nuovo Codice del consumo cambia tutto e niente” (12).
Con ciò evidentemente marcando l’accento sul “niente”, leggendo il testo normativo più che come un codice vero e proprio, come una mera collazione di norme già vigenti nel nostro ordinamento, semplicemente riordinate in un testo unitario.
Non solo. Le anomalie e le insufficienze si evidenziano, ad esempio, con il mancato inserimento delle normative più recenti ed innovative, come la regolamentazione dei servizi finanziari on line e del multi-level marketing.
Inoltre, non è stato inserito alcun riferimento al documento elettronico, quale strumento di comunicazione della volontà di recedere da parte del consumatore, che, considerata la previsione contenuta nel D.P.R. n. 523/97 che equipara il documento elettronico a quello cartaceo, il legislatore avrebbe potuto operare tale apertura.
Analizzando il testo del Provvedimento, le innovazioni rispetto alla normativa previgente sono:
- l’introduzione del titolo terzo, “garanzia legale di conformità e garanzie commerciali per i beni di consumo”;
- la eliminazione della definizione di consumatore, che si leggeva all’art. 1519 bis, secondo comma lett. a) del codice civile, dall’art. 128, secondo comma;
- all’art. 135, secondo comma, una norma di raccordo con il codice civile che non si trovava nell’articolo corrispondente e cioè l’art. 1519 nonies del codice civile.
Dunque niente di nuovo sotto il sole, se non una facilitazione per gli operatori del diritto. Il legislatore, per dirla con una dottrina che si è pronunciata sul tema (13), si è limitato ad effettuare un’operazione di copia-incolla della normativa previgente, che non garantisce una piena sistematicità alla disciplina del consumo.
Insomma, quel “tutto” riferito all’innovazione apportata dal Codice del Consumo, più che una realtà è una potenzialità, nel senso che il nuovo Codice rappresenta la volontà del legislatore di definire, in modo sempre più coerente e sistematico le regole poste a tutela del consumatore, anche se per il momento non sembra ancora esservi riuscito compiutamente.
Box delle fonti:
- Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206
- cfr., per il dettaglio, Guida al Diritto (Il Sole 24 ORE) n. 18 del 17 dicembre 2005
- di cui già in questa Rubrica, Tutela del consumatore: dal movimentismo alla codificazione, n. 6/2006
- in particolare, dalla Legge n. 281/98, dalla Legge n. 126/91 e dal Decreto Ministeriale n. 101/97
- materia già raccolta nel D. Lgs. n. 84/2000, cui si rinvia
- sostitutivo dei decreti legislativi nn. 74/1992 e 67/2000
- già contenuta nelle Leggi nn. 120/1998 e 39/2002
- precedentemente incasellata nel codice civile agli artt. 1469 bis – sexies
- già prevista dai decreti legislativi nn. 63/2000 art. 125, commi 4° e 5°, e 385/1993
- già D. Lgs. 50/1992 e D. Lgs.185/1999
- tra i primi commenti organici, v. A. Lisi (a cura di), Codice del Consumo, Edizioni CiErre, 2006; G Briganti, Guida al Codice del Consumo, Edizioni CiErre, 2006
- Enzo Maria Tripodi, Ettore Battelli – Codice del consumatore. Guida pratica alla nuova normativa – IPSOA, 2006
- Giorgio De Nova – La disciplina della vendita dei beni di consumo nel “Codice” del consumo – I Contratti, Rivista di dottrina e giurisprudenza, n. 4 del 2006 (IPSOA)