Professionisti / L’accesso agli atti della pubblica amministrazione: tipologie, diritti, limiti e tutela privacy

L’accesso ai documenti amministrativi è uno strumento rivolto a tutti i cittadini ma ben noto ed utilizzato soprattutto dai professionisti che hanno rapporti con le Pubbliche Amministrazioni. Si può affermare che l’accesso ai documenti amministrativi costituisce uno strumento a doppio destinatario, rivolgendosi tanto ai privati quanto ai liberi professionisti che sono tenuti ad entrare in contatto con le PP.AA. per conto dei loro committenti.
Proprio in ragione della rilevanza e della indispensabilità dello strumento a livello professionale, è quanto mai opportuno conoscerlo ed inquadrarlo all’interno del sistema dei principi dell’ordinamento giuridico.
Vale sin da subito precisare che aver sancito il diritto del cittadino all’accesso ai documenti amministrativi costituisce il punto di bilanciamento più equilibrato tra il principio di trasparenza e la tutela della riservatezza.
Infatti, mentre la trasparenza rappresenta il fondamento dell’accesso ai documenti amministrativi, la riservatezza ne rappresenta il principale limite.
Da una parte, il diritto d’accesso rappresenta il precipitato applicativo del più generale principio di trasparenza, in quanto consente ai cittadini di conoscere i processi decisionali della pubblica amministrazione. Dall’altra, il diritto di accesso è contemperato dal diritto alla riservatezza, che è volto a tutelare i cittadini stessi da ingerenze eccessive dei terzi nella propria sfera privata.
Trasparenza e riservatezza sono entrambi interessi meritevoli di peculiare tutela da parte dell’ordinamento, rinvenendo ambedue il proprio fondamento ai vertici delle fonti del diritto interno e sovranazionale.
Proprio la sussistenza di contrapposti interessi di primaria importanza per l’ordinamento comporta la previsione a livello normativo di limiti al diritto di accesso, al fine di operare un contemperamento tra trasparenza e riservatezza.
Le diverse forme di accesso
A livello normativo primario sono disciplinate tre forme di accesso: documentale, civico semplice e civico generalizzato.
1. L’accesso documentale, previsto dalla L. 241/1990, può essere definito come la situazione giuridica soggettiva strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante ed opera in due diverse contesti: procedimentale e difensivo.
Con riserva di approfondire la struttura e i requisiti dell’istanza di accesso agli atti in un successivo più specifico contributo, vale anticipare soltanto che, in ambito procedimentale, l’accesso ha funzione partecipativa e nel contesto difensivo assume una funzione propriamente difensiva.
Più in particolare, nella prima dimensione, coloro che partecipano al procedimento amministrativo sono legittimati a chiedere ed ottenere l’accesso ai relativi documenti, purché siano titolari di un interesse diretto, concreto e attuale; nella logica difensiva, il privato che intende accedere a specifici documenti amministrativi deve motivare in modo persuasivo la strumentalità della richiesta per finalità difensive.
Da quanto sinteticamente rilevato emerge nell’ordinamento la primarietà dell’interesse dell’istante all’ostensione documentale. Tuttavia, come anticipato, la protezione e la tutela di questi interessi non è priva di limiti.
L’art. 24 della L. 241/1990 prevede una serie di limiti all’esercizio del diritto di accesso documentale. In particolare, il diritto di accesso è limitato: ai fini della tutela di interessi pubblici (segreto di Stato, procedimenti tributari, eccetera); in relazione a documenti individuati
dalla pubblica amministrazione (le singole amministrazioni possono sottrarre all’accesso alcuni documenti di cui hanno la disponibilità); di fronte a istanze massive preordinate a un controllo generalizzato; in relazione a documenti individuati dal Governo quando l’accesso può recare pregiudizio a sicurezza nazionale, relazioni internazionali, politica monetaria; nonché qualora vengano in rilievo particolari categorie di dati.
Infatti, al di là della tutela degli interessi pubblici, viene assicurato un efficace bilanciamento di interessi qualora l’oggetto dell’ostensione documentale riguardi dati riservati, dati sensibili e dati sensibilissimi.
In presenza di tali dati riservati, l’accesso è consentito se si prova la necessarietà del documento a fini difensivi; nel caso vengano in rilievo dati sensibili, l’istante deve provare la stretta indispensabilità dei documenti a fini difensivi; in relazione a dati sensibilissimi, il privato deve dimostrare la strumentalità alla difesa di un bene di pari rango.
2. L’accesso civico è disciplinato dal D.Lgs. 33/2013 ed è stato introdotto al preciso fine di attuare il principio di trasparenza.
L’art. 5 del D.Lgs. 33/2013 prevede due forme di accesso civico: semplice (comma 1) e generalizzato (comma 2).
a) L’accesso civico semplice presuppone la violazione da parte della pubblica amministrazione dell’obbligo giuridico di pubblicazione di dati e informazioni.
Infatti, il legislatore ha previsto in capo alle pubbliche amministrazioni il dovere di pubblicare sui siti istituzionali una serie di documenti e dati concernenti l’organizzazione e l’attività.
Si tratta di un’elencazione tassativa di documenti dei quali è obbligatoria la pubblicazione, la cui omissione fa sorgere il diritto di chiunque di chiedere la pubblicazione di quel documento.
Considerata la finalità dell’accesso civico e i principi di trasparenza e partecipazione che vi sono alla base, l’istanza di ostensione è soggetta a legittimazione assoluta (può essere richiesta da parte di chiunque) e non è necessario alcun nesso di strumentalità.
Peraltro, a differenza dell’accesso documentale, rispetto alle istanze di accesso civico semplice non si rinvengono controinteressati e, pertanto, non vi sono necessità di bilanciamento di interessi.
Non vi sono, infatti, neppure limiti legali in quanto il bilanciamento dei contrapposti interessi è stato compiuto ex ante dal legislatore.
b) L’accesso civico generalizzato è stato introdotto con la riforma del 2016, per assicurare trasparenza e imparzialità, anche in attuazione della sussidiarietà orizzontale.
Con questa seconda forma di accesso civico si è inteso estenderne l’ambito oggettivo, consentendo a chiunque di accedere a dati e documenti detenuti dalla pubblica amministrazione «ulteriori» rispetto a quelli oggetto di obbligo di pubblicazione.
Anche in questo caso l’accesso è consentito a chiunque. La ragione della legittimazione assoluta si comprende in considerazione della natura e delle finalità dell’accesso civico, ovverosia favorire forme partecipative e collaborative tra privati e pubblica amministrazione.
Circa la natura giuridica dell’accesso civico, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 10/2020) ha qualificato la situazione giuridica soggettiva del privato come diritto fondamentale della persona in quanto espressivo del diritto all’informazione (right to know).
A differenza dell’accesso civico semplice, per l’accesso generalizzato sono previsti alcuni limiti, che possono essere distinti in due categorie: i limiti assoluti e i limiti relativi.
Mentre i primi operano automaticamente, per i secondi il legislatore rimette alla valutazione discrezionale dell’amministrazione la ponderazione degli interessi concreti che vengano in rilievo.
Tra i limiti assoluti possono essere annoverati il segreto di Stato, specifici divieti legali e gli interessi pubblici di cui all’art. 24, comma 1 L. 241/1990. Tra i limiti relativi si rinvengono due sottocategorie. Gli interessi pubblici: sicurezza nazionale, ordine pubblico, difesa, eccetera; gli interessi privati: dati personali, corrispondenza, interessi economici e commerciali, eccetera.
In sintesi, le tre forme di accesso hanno diversi punti in comune ma anche rilevanti tratti che li differenziano
L’accesso documentale si fonda sulla sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale del privato strumentale alla tutela di un bene della vita. L’istanza è formulata per prendere visione e/o estrarre copia di documenti amministrativi per i quali non è prevista la pubblicazione; perciò, sono previsti dei limiti a tutela di interessi pubblici e privati.
L’accesso civico semplice si basa sulla trasparenza dell’azione amministrativa e, dunque, viene in rilievo nei casi in cui la pubblica amministrazione sia venuta meno all’obbligo di pubblicazione di matrice legale. In questo caso l’interesse alla pubblicazione è in capo a chiunque e non c’è bisogno di dimostrare una specifica necessità di tutela.
L’accesso civico generalizzato, infine, consente di accedere a dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria. Anche per questa forma di accesso, il privato non deve essere titolare di un interesse peculiare, tuttavia, vi sono limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti.
La privacy e la tutela dei terzi controinteressati
Come anticipato, rispetto alle istanze di accesso agli atti il richiedente deve porre attenzione alla posizione giuridica di soggetti terzi. Ciò è di primaria importanza in considerazione del necessario bilanciamento degli interessi che vengono in rilievo.
Infatti, a seconda della diversa tipologia di accesso e degli interessi meritevoli di tutela, il contemperamento è operato ex ante dal legislatore ovvero rimesso alla valutazione discrezionale della pubblica amministrazione.
In via generale, rispetto alla posizione dei soggetti terzi, opera il limite della tutela della riservatezza. Infatti, i terzi sono i soggetti controinteressati rispetto all’istanza di accesso agli atti e sono titolari di un interesse alla riservatezza dei documenti.
Dall’eventuale accoglimento dell’istanza essi possono essere pregiudicati nei loro interessi strettamente personali indicati all’art. 8 D.P.R. 352/92 (interesse epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale).
Per questo motivo, l’accesso può essere limitato o escluso a tutela della riservatezza di terzi (art. 24, co. 6, lett. d L. 241/1990).
L’art. 24, co. 7 L. 241/1990 fissa le regole per l’equilibrio tra il diritto d’accesso e la tutela della privacy riferita a particolari categorie di dati di cui al D.Lgs. 196/03, così come modificato dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101.
In particolare, graduando l’onere probatorio in funzione della tipologia di dati che vengono in rilievo, prevale l’accesso:
– di fronte a dati riservati, se il richiedente dimostra che il documento è necessario a fini difensivi;
– di fronte a dati sensibili, quando l’istante dimostri che il documento è strettamente indispensabile a fini difensivi;
– di fronte a dati sensibilissimi qualora l’istante dimostri che il documento è strumentale alla difesa di un bene di pari rango.
La tutela della privacy è, infatti, garantita nell’ordinamento dal cd. “Codice Privacy” (D.Lgs. 196/2003, aggiornato con il D.Lgs. 101/2018), il quale contiene le disposizioni nazionali in materia di protezione dei dati personali, nei limiti previsti dal GDPR (General Data Protection Regulation – Regolamento europeo 2016/679), nonché dal D.L. 139/2021 (il cd. Decreto Capienze) che ha apportato notevoli modifiche al Codice Privacy.
Secondo la normativa richiamata sono dati personali le informazioni che identificano o rendono identificabile, direttamente o indirettamente, una persona fisica e che possono fornire informazioni sulle sue caratteristiche, le sue abitudini, il suo stile di vita, le sue relazioni personali, il suo stato di salute, la sua situazione economica, ecc.
Possono essere distinte varie categorie di dati:
– i dati che permettono l’identificazione diretta: dati anagrafici, immagini, numeri di identificazione (ad esempio, il codice fiscale);
– i dati rientranti in particolari categorie, ossia i cd. dati sensibili: quelli che rivelano l’origine razziale od etnica, le convinzioni religiose, filosofiche, le opinioni politiche, l’appartenenza sindacale, relativi alla salute o alla vita sessuale;
– i dati relativi a condanne penali e reati: si tratta dei dati giudiziari, ovverosia quelli che possono rivelare l’esistenza di determinati provvedimenti giudiziari soggetti ad iscrizione nel casellario giudiziale o la qualità di imputato o di indagato.
A fronte di tali diritti meritevoli di tutela, il legislatore ha previsto alcuni strumenti di tutela in capo ai terzi. In questa sede, si anticipa che l’ordinamento ha predisposto due diverse tipologie di tutela: procedimentale e processuale.
Nell’ambito della tutela procedimentale il terzo, in qualità di controinteressato, è notiziato dell’avvio del procedimento ed ha diritto di conoscere la motivazione del provvedimento adottato dalla pubblica amministrazione.
Per quanto attiene alla tutela processuale, il terzo, a cui deve essere necessariamente notificato il ricorso, è titolare del potere di opposizione processuale, può intervenire volontariamente ad opponendum o con l’opposizione di terzo, può intervenire anche con un intervento volontario ad adiuvandum se vanta un interesse specifico.

Lavoro e previdenza / NASpI: sostegno alla disoccupazione ed incentivo all’autoimprenditorialità, tra ricerca di nuova occupazione ed incentivo al lavoro autonomo.

Il D.Lgs. n. 22/2015 ha introdotto la cd. Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego – NASpI operativa per gli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1 maggio 2015, con la finalità di introdurre un sussidio a favore del lavoratore per far fronte allo stato di disoccupazione involontaria. Di tale contributo possono usufruire tutti i lavoratori dipendenti, inclusi apprendisti e soci lavoratori di cooperativa che abbiano stabilito un rapporto di lavoro subordinato, con esclusione degli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato per i quali l’ordinamento prevede invece una disciplina specifica.

Per poter avere diritto al godimento della NASpI, devono ricorrere congiuntamente due requisiti:

  1. a) oggettivo:il lavoratore deve aver perduto involontariamente la propria occupazione (vi rientrano anche le ipotesi di dimissioni per giusta causa; dimissioni avvenute durante la fruizione del congedo per maternità, risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura di conciliazione ex art. 7 L. n. 604/1966, licenziamento per motivi disciplinari, conciliazione volontaria agevolata ex art. 6 D.lgs n. 23/2015, fino all’ipotesi di cessazione del rapporto a seguito di procedura di liquidazione giudiziale), e quindi trovarsi in stato di disoccupazione;
  2. b) contributivo, avere almeno tredici settimane di contribuzione da far valere nei quattro anni che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione, così come previsto nella Circolare Inps n. 142/2015.

L’art. 8 del suddetto D.Lgs. prevede e disciplina anche la diversa ipotesi in cui il lavoratore titolare della prestazione possa richiedere la liquidazione anticipata dell’importo complessivo del trattamento spettante che non gli sia stato ancora erogato al fine di avviare un’attività di lavoro autonomo o in forma individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa, nella quale il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio.

In questa ipotesi, la NASpI, anziché svolgere la mera funzione di sussidio, si trasforma in un vero e proprio incentivo all’autoimprenditorialità. La domanda va presentata a pena di decadenza entro trenta giorni dall’inizio della attività.

Sempre l’art. 8, al comma 4, stabilisce che, nel caso in cui il lavoratore contragga un rapporto di lavoro subordinato durante il periodo di copertura della NASpI sarà tenuto a restituire l’intera somma corrisposta a titolo di NASpI anticipatoria, salvo il caso in cui il rapporto di lavoro subordinato sia instaurato con la cooperativa sociale di cui abbia sottoscritto una quota di capitale sociale.

La ratio di quest’ultima disposizione, dal contenuto letterale apparentemente chiaro, se da un lato è volta ad evitare comportamenti antielusivi e frodatori da parte del percipiente, dall’altro lascia poco spazio per una diversa interpretazione al fine dell’applicazione alla fattispecie concreta ed è stata oggetto più volte di attenzione da parte della Corte costituzionale a seguito dei rinvii per questioni di legittimità costituzionale da parte dei giudici di merito.

A tale proposito si segnala la sentenza n. 194/2021 della Corte costituzionale, riguardante la fattispecie di un lavoratore che era stato assunto come lavoratore subordinato per pochi mesi. Il Giudice remittente (Tribunale di Torino) aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale per contrasto: con l’art. 3, primo comma della Cost. e con il principio di razionalità, laddove era stata pretesa la restituzione integrale dell’importo ricevuto a fronte di un rapporto di lavoro subordinato di pochi mesi e tale da non compromettere la ratio della disposizione.

In questo caso, la Corte, ribadendo la “funzione promozionale” della NASpI anticipatoria, con l’obiettivo di favorire ed incentivare il lavoratore nel reimpiego in una attività lavorativa diversa da quella subordinata, volta pertanto a convertire i lavoratori subordinati in imprenditori, per creare a loro volta nuovi posti di lavoro, decomprimendo il mercato, sottolinea come la restituzione integrale della NASpI, non abbia carattere sanzionatorio, bensì “… natura di indice rivelatore della mancata effettività e autenticità di una attività lavorativa autonoma e di impresa, che giustifica la corresponsione del contributo in un’unica soluzione”, tale cioè da non lasciare all’Ente previdenziale alcun margine di discrezionalità.

Dall’altro lato, la Corte non rilevava violazione al principio di razionalità nella restituzione integrale dell’incentivo, in quanto la sua applicazione risulta limitata al solo caso del lavoratore che, durante la copertura NASpI, accetti un rapporto di lavoro subordinato evidenziando però “come la disciplina de qua potrebbe prestarsi a soluzioni più flessibili, la cui individuazione rientra nel campo della discrezionalità lasciata al legislatore”.

Proprio in relazione alla assenza di flessibilità di interpretazione della disposizione di cui all’art. 8, comma 4 del D.Lgs. n. 22/2015, appare degna di nota l’ultima pronuncia della Corte costituzionale, n. 90 del 20 maggio 2024. Il caso concreto riguardava un soggetto che, a seguito della percezione della NASpI anticipata, aveva aperto un’attività di ristorazione per poi trovarsi costretto a chiuderla prima del termine dei due anni di copertura NASpI. Lo stesso agiva in giudizio per impugnare il provvedimento restitutorio dell’Inps riguardante l’intera somma anticipata, deducendo che la chiusura anticipata dell’attività autonoma era stata causata dalle restrizioni COVID, ossia per cause a lui non imputabili. Il Tribunale di Lecce, investito del caso, sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4 del D.Lgs. n. 22/2015 nella parte in cui prevede, prescindendo da ogni possibilità di valutare il caso concreto, l’obbligo di restituire l’intera anticipazione NASpI, se il beneficiario stipuli un contratto di lavoro subordinato entro il termine di scadenza del periodo per cui l’indennità è riconosciuta.

La Corte, in questo caso, ha ritenuto fondata la questione sollevata perché, a fronte dell’assenza di una concreta valutazione delle motivazioni della cessazione dell’attività autonoma, la norma è da ritenersi lesiva del principio di proporzionalità e ragionevolezza. Invero, secondo la Consulta, se l’attività imprenditoriale è stata effettivamente avviata ed esercitata per un periodo significativo, la finalità antielusiva della norma è da ritenersi soddisfatta.

Pertanto, se il percettore dell’indennità (anche se di incentivo all’autoimprenditorialità) si trova nell’impossibilità di continuare l’attività imprenditoriale per motivi a lui non imputabili, la restituzione della NASpI deve essere proporzionale rispetto alla durata del nuovo lavoro subordinato, poiché solo per quel periodo può considerasi l’indennità di disoccupazione priva di causa.

Diversamente, evidenzia la Corte, se il fallimento dell’attività imprenditoriale è collegabile al mero rischio di impresa, il percettore continua ad essere obbligato alla restituzione totale dell’indennità percepita.