Lavoro e previdenza / Risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e incentivazione all’esodo
La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro è per lo più associata all’erogazione di emolumenti da parte del datore di lavoro finalizzata ad acquisire il consenso del lavoratore alla rinuncia della prosecuzione del rapporto di lavoro.
Infatti, il datore di lavoro sovente favorisce l’uscita dei dipendenti attraverso l’erogazione di importi a titolo di incentivo all’esodo.
Con riguardo all’entità della proposta economica incentivante, l’impresa datrice di lavoro ha libertà di azione e non è vincolata da legge o contrattazione collettiva.
Tuttavia, sarà buona norma adottare parametri che garantiscano un trattamento quantomeno equo tra i lavoratori, orientando, quindi, la contrattazione individuale lungo direttive che consentano di entrare nell’ottica del lavoratore per proporgli un bilanciamento tra quanto perde e come viene ristorato economicamente.
Un orientamento prudente suggerisce alla parte datoriale che l’ammontare minimo dell’incentivazione all’esodo possa essere individuato in un importo pari almeno all’indennità sostitutiva del preavviso per licenziamento prevista dal contratto collettivo.
Mentre, il criterio generalmente utilizzato al fine di valutare l’importo massimo dell’offerta è il rischio economico conseguente ad un’eventuale soccombenza nel giudizio instaurato per l’accertamento della legittimità in caso di licenziamento per motivo economico. Il cd. “rischio causa”, incrementato dell’indennità sostitutiva del preavviso, costituisce una valida esemplificazione del massimo che il lavoratore potrebbe ottenere qualora non volesse in alcun modo raggiungere l’accordo.
Con particolare riferimento alle risoluzioni consensuali della categoria dei dirigenti, invece, appare necessario prendere in esame la particolare disciplina sanzionatoria prevista dalla loro contrattazione collettiva in caso di licenziamento ingiustificato.
A tutto questo si aggiungano come fattori da considerare come possibili rischi di causa i costi connessi ad un possibile licenziamento del lavoratore (contribuzione INPS su tale indennità sostitutiva del preavviso, ticket di licenziamento, spese legali, ecc.).
Infatti, conoscere le conseguenze economiche complessive di un licenziamento illegittimo può essere utile per stimare il possibile risparmio per l’azienda nel giungere ad un accordo di risoluzione consensuale e di conseguenza fissare criteri (anzianità, carichi familiari, prossimità alla pensione) di determinazione degli incentivi all’esodo.
Una volta identificato e concordato con il lavoratore l’ammontare offerto per la risoluzione consensuale, di prassi viene redatto un accordo, volto a rendere definitiva l’intesa, nel quale vengono inserite specifiche clausole finalizzate a mettere al riparo il datore di lavoro da possibili rivendicazioni connesse al rapporto di lavoro in fase conclusionale.
Nello specifico, mediante tali clausole, il lavoratore rinuncia ad ogni suo diritto, pretesa ed azione legale in ordine al pregresso rapporto di lavoro ab origine, alla sua esecuzione ed alla risoluzione del medesimo a fronte dell’erogazione di un importo a titolo transattivo.
Si rammenta che l’istituto della rinuncia costituisce una dichiarazione di volontà con la quale una parte dismette abdicativamente un proprio diritto, scegliendo di non goderne più. La rinuncia farà riferimento ad uno specifico oggetto e deve contenere la chiara rappresentazione dei diritti che vengono dismessi: se riferita ad ogni imprecisato diritto maturato nel corso del rapporto di lavoro, così come la rinuncia preventiva a futuri, eventuali e non precisati diritti, sarà radicalmente nulla. Invece, mediante la transazione, le parti facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già iniziata o prevengono una lite che potrebbe insorgere tra di loro.
L’accordo così perfezionato, infine, è soggetto all’obbligo di formalizzazione in una cd. sede protetta: infatti, le rinunce e/o le transazioni che hanno per oggetto diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili di legge e dei contratti o accordi collettivi non sono valide, salvo nei casi in cui siano contenute nei verbali di conciliazione sottoscritti in sede sindacale, giudiziale o avanti la commissione di conciliazione istituita presso l’Ispettorato del lavoro o presso le sedi di certificazione.
In generale, si può affermare che le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro nonché quelle la cui erogazione trae origine proprio dalla predetta cessazione, fatta salva l’indennità sostitutiva del preavviso, tendenzialmente sono esenti da contribuzione.
Rientrano in tale fattispecie anche le somme erogate in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, in eccedenza alle normali competenze comunque spettanti ed aventi lo scopo di indurre il lavoratore ad anticipare la risoluzione rispetto alla sua normale scadenza.
Una simile previsione, finalizzata ad evitare effetti distorsivi sulla base imponibile e pensionabile, ricomprende tutte quelle forme di erogazione prive di uno specifico titolo retributivo, corrisposte in sede di risoluzione del rapporto e la cui funzione, desumibile dalla volontà delle parti, sia riconducibile a quella di agevolare lo scioglimento del rapporto.
Al contrario, le somme corrisposte a titolo transattivo o di rinuncia ad alcuni diritti, trovando la propria causa nel rapporto di lavoro e non essendo ricomprese tra le fattispecie di esclusione, sono soggette anche a contribuzione previdenziale.
Occorre, infatti, tener conto sia del principio secondo il quale tutto ciò che il lavoratore riceve, in natura o in denaro, dal datore di lavoro in dipendenza e a causa del rapporto di lavoro rientra nell’ampio concetto di “retribuzione imponibile” ai fini contributivi sia della assoluta indisponibilità, da parte dell’autonomia privata, dei profili contributivi che l’ordinamento collega al rapporto di lavoro.
Infine, si ritenga che, dal punto di vista fiscale, dovrà essere assoggettato a tassazione separata, con l’aliquota del TFR, sia l’incentivo all’esodo in quanto costituisce una somma percepita da parte del lavoratore una tantum in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro dipendente, sia gli importi transattivi erogati in sede di risoluzione consensuale.