Cassazione / Sulla liquidazione unitaria del danno non patrimoniale (Cass. Civ. Sez. III, 29/03/2019, n. 8755)
Con la sentenza n. 8755 del 29 marzo 2019 la Suprema Corte si è nuovamente pronunciata sulla questione della liquidazione del danno non patrimoniale.
La fattispecie in oggetto riguarda una controversia che ha origine da un sinistro stradale. Il danneggiato conveniva in giudizio la compagnia assicurativa e il proprietario del veicolo danneggiante per ottenere il risarcimento dei danni riportati.
In primo grado,la responsabilità veniva attribuita ad entrambi i conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro e i convenuti venivano condannati in solido al risarcimento, in favore del danneggiato, del danno non patrimoniale subito. In secondo grado, la Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione proposta dal danneggiato e, riformando in parte la sentenza del primo Giudice, attribuiva l’intera responsabilità del sinistro all’appellato e condannava questi e la Società di assicurazione all’ulteriore risarcimento del danno in favore dell’appellante.
Avverso la sentenza della Corte di merito, la Compagnia assicurativa proponeva ricorso per cassazione, al quale resisteva il danneggiato con controricorso.
La ricorrente sosteneva che il Giudice di merito non avesse chiarito quali fossero gli elementi di fatto comprovanti la sussistenza del danno morale e che non avesse spiegato le ragioni di diritto sulle quali riconoscere automaticamente l’importo relativo al risarcimento danni.
La Cassazione rigettava il ricorso e condannava la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, in favore del controricorrente.
Il principio di diritto che se ne ricava può essere il seguente:
“La liquidazione finalisticamente unitaria del danno non patrimoniale (non diversamente da quella prevista per il danno patrimoniale) ha pertanto il significato di attribuire al soggetto una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore (cui potrebbe assimilarsi, in una suggestiva simmetria legislativa, il danno emergente in guisa di vulnus “interno” arrecato al patrimonio del creditore), quanto sotto quello dell’alterazione/modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (danno idealmente omogeneo al cd. “lucro cessante” quale proiezione “esterna” del patrimonio del soggetto)”.
Nella parte motiva, la pronuncia dei Giudici di legittimità recita quanto segue:
“La natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e delle sezioni unite della S.C. (Corte Cost. 233/2003; Cass. ss.uu. 26972/2008) deve essere interpretata, sul piano delle categorie giuridiche (anche se non sotto quello fenomenologico) rispettivamente nel senso: a) di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica; b) di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in peius della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto del danno, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.
Nel procedere all’accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito, alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza 235/2014, punto 10.1 e ss.; v. anche Corte Cost. 184/1986, 372/1994, 293/1996, 233/2003) e della Corte di Giustizia (causa C-371/2012 del 23/01/2014) nonché del recente intervento del legislatore sugli artt. 138 e 139 C.d.A. come modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124 art. 1, comma 17 – la cui nuova rubrica (“danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, “danno biologico”) ed il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale – deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale, e cioè tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale) quanto quello dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).
Nella valutazione del danno alla salute, in particolare – ma non diversamente che in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore/interesse costituzionalmente protetto (Corte Cost. 233/2003) – il giudice dovrà, pertanto, valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con se stesso), quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce “altro da sé”).
In presenza di un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali ed affatto peculiari: le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.
Costituisce, pertanto, duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali – e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali “categorie” o “voci” di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l’art. 32 Cost.), mentre una differente ed autonoma valutazione va compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute (come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138 del C.d.A., alla lett. e).
In assenza di lesione della salute, ogni vulnus arrecato ad un altro valore/interesse costituzionalmente tutelato andrà specularmente valutato e accertato, all’esito di compiuta istruttoria, e in assenza di qualsiasi automatismo (volta che, nelle singole fattispecie concrete, non è impredicabile, pur se non frequente, l’ipotesi dell’accertamento della sola sofferenza morale o della sola modificazione in peius degli aspetti dinamico-relazionali della vita), il medesimo, duplice aspetto, tanto della sofferenza morale, quanto della privazione/diminuzione/modificazione delle attività dinamico-relazioni precedentemente esplicate dal soggetto danneggiato (in tal senso, già Cass. ss.un. 6572/2006).
Sulla liquidazione unitaria del danno non patrimoniale.
La Suprema Corte ritiene che, nell’attribuzione di una somma risarcitoria al soggetto danneggiato, il Giudice di merito deve tener conto del pregiudizio complessivamente subìto sia sotto il profilo del danno morale, relativo all’aspetto interiore del danno sofferto, sia sotto il profilo del danno dinamico-relazionale, riguardante le conseguenze in senso peggiorativo di tutti gli ambiti relazionali di vita esterni del soggetto.
In presenza di un danno permanente alla salute, la misura del risarcimento può essere aumentata in base al danno dinamico-relazionale verificatosi, ma solamente nel caso di ripercussioni dannose eccezionali e anomale. Pertanto, in questi specifici casi, non si crea duplicazione risarcitoria nel momento in cui si attribuiscono, congiuntamente, una somma di danaro a titolo di risarcimento del danno biologico e una somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi subiti dal danneggiato, in relazione alla sua personalità, alle sue attività quotidiane e alle sue capacità relazionali.
Al contrario, in assenza di un danno permanente alla salute, dovrà esser compiuta una precisa valutazione sulla lesione dell’interesse costituzionalmente garantito. Infatti, dal caso analizzato nella sentenza in esame, emerge che, in tali situazioni, il Giudice deve effettuare una valutazione che tenga conto sia del danno in re ipsa, sia del suo effetto modificativo in peius della quotidianità del danneggiato. Si evince, dunque, che tale valutazione dovrà essere oggetto di un procedimento approfondito al fine di evitare l’applicazione di automatismi risarcitori.
In conclusione, la giurisprudenza di Cassazione ha ribadito come la liquidazione della componente dinamico-relazionale del danno alla salute avvenga attraverso una personalizzazione del danno biologico e non mediante la rischiosa duplicazione di poste risarcitorie.